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Galleria Triphè, Roma
a cura di Federica Fabrizi
testo critico di Viviana Quattrini
dal 25 maggio al 15 luglio 2024
Il pensiero di Monica Sarandrea è caratterizzato da una visione del mondo inteso come sistema di energie vitali in cui l’arte assume una valenza sacrale e aiuta a riscoprire una visione primigenia e naturale del mondo. Il suo lavoro è frutto di relazione tra pittura, scultura, natura con riferimenti al mito ed è contemporaneamente guidato dalla cura rivolta agli altri e all’ambiente coinvolgendo direttamente lo spettatore in installazioni site-specific.
I materiali che utilizza, come ramoscelli, spighe, rami, argilla, sono presi direttamente dalla natura con l’aggiunta di materiali come stoffe imbevute nel gesso che costituiscono il senso concettuale dell’opera. Questo è dato anche dal processo attraverso il quale, con l’uso del panneggio, avvolge i diversi elementi naturali in un lavoro che ne esalta l’aspetto sensoriale e sensuale.
In questa serie di opere indaga principalmente gli elementi della terra e dell’acqua, associati al femminile per eccellenza. L’artista preleva alcuni elementi dall’arte classica come il panneggio e l’uso del colore bianco e li rielabora in forme mistiche ed intime riportando ad un senso antico di purezza e all’idea di una natura generativa e pagana. Allo stesso tempo ci conduce alle origini del mito, non cercando affatto di riproporlo ma lasciandone traccia attraverso la forma velata del simbolo. Il mistero è parte della sua poetica e si pone a garanzia e a difesa della natura, all’opposto di quell’atteggiamento prometeico che ne viola i segreti e ne brama il dominio.
Le opere su tela che contengono spighe di diversa origine rievocano, anche attraverso il colore, il giorno e la notte, il rinnovamento, l’avvicendarsi delle stagioni e con essi il mito di Demetra e Persefone. Queste opere nate durante il periodo della pandemia stanno metaforicamente ad indicare la coesistenza degli opposti: i momenti di buio, di reclusione e riflessione ma anche quelli di luce, apertura e incontro con l’altro. Come avviene nei cicli agrari, il concetto della continuità e del cambiamento ci aiuta a pensare le avversità come parte integrante di un percorso in continuo divenire e di accettare la vita, le sue contraddizioni e la morte in quanto promessa di nuova vita.
Le opere che attraverso stoffe, gesso accolgono frammenti di vegetazione nel proprio grembo possono essere associate invece a delle “natività” ma contengono, in quanto auspici, anche elementi che rimandano a simboli mitici: la quercia era la pianta sacra a Giove ed associata alla virtù civile; l’alloro era sacro ad Apollo e simbolo di pace, gloria e sapienza.
Il faggio invece per la sua simbologia è un albero molto vicino alla visione dell’artista in quanto rappresenta la connessione tra la materia e lo spirito. Grazie al suo aspetto maestoso, alla conformazione delle radici che nutrono il terreno e dei suoi frutti, a cui sono associate simbologie numeriche, fu considerata una pianta magica. Un albero a cui si legano concetti di conoscenza, saggezza e memoria anche grazie al suo tenero legno utilizzato come supporto per la scrittura.
I lavori dedicati al tema dell’acqua sono ambientati in modo specifico nello spazio sottostante della galleria in cui sono ancora visibili i resti di un antico acquedotto. In questo caso tra i più celebri miti di Roma c’è quello legato alla ninfa Egeria, probabilmente la dea che “trae fuori” le acque dalla terra, come sembra indicare il suo nome. La ninfa amante del secondo re di Roma, Numa Pompilio, al quale dava consigli servendosi di riti propiziatori, alla sua morte rimase talmente avvinta dal dolore che gli dei, impietositi dal suo pianto, decisero di trasformarla in una fonte. Fonte di dolore, fonte di vita l’acqua assume in queste opere delle forme primarie ed è resa grazie all’uso di smalti che eludono la materia alterandone e mistificandone la visione.
In un periodo in cui l’azione antropica ha raggiunto una grande forza distruttiva, protagonista delle opere di Monica Sarandrea è una visione d’insieme che celebra la natura e la sua difesa. Contrariamente a quel tipo di pensiero che si è basato sulla separazione tra natura e cultura, materia e forma, femminile e maschile, passivo e attivo, nel lavoro dell’artista, troviamo sì un’attenzione al femmineo, ma rivisitata e sostenuta da quell’energia e forza, un tempo prettamente maschili.